La terza Sezione del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 1152 del 13 marzo 2017, ha rimesso all’Adunanza Plenaria una questione che da anni divide la Giurisprudenza amministrativa: quali siano gli effetti di una cessione di ramo d’azienda in relazione alla permanenza della qualificazione SOA.
In particolare, da un lato (tra le più recenti cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV n. 813/2016) è stato affermato che in caso di cessione di ramo di azienda, l’operatore economico cedente, seppur resti in possesso di sufficienti requisiti per una determinata qualificazione, è onerato dal richiedere una nuova attestazione di qualificazione all’Organismo, attivandosi ai sensi dell’art. 76 comma 11 del d.P.R. 207/2010. Secondo tale orientamento, infatti, la sottoscrizione del contratto di cessione determinerebbe l’automatica perdita di efficacia delle certificazioni SOA, indipendentemente da quali e quanti requisiti vengano realmente trasferiti, con la conseguenza che “nel caso di cessione di ramo d’azienda né il cedente né il cessionario possono valersi dell’attestazione di qualificazione posseduta dall’azienda ceduta, pur potendone richiedere una nuova alla società di attestazione” (così Consiglio di Stato, n. 5573/2014).
Altra parte della Giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V n. 4347/2016) sostiene al contrario la permanenza in capo all’operatore cedente delle eventuali qualificazioni in suo possesso prima dell’atto di cessione. Secondo tale tesi, infatti, è necessario effettuare una analitica disamina del contratto intervenuto tra le parti: se risulta che l’atto di cessione ha ad oggetto soltanto il trasferimento di singoli beni e cespiti è possibile sostenere che non siano stati trasferiti altresì i requisiti alla base del possesso delle categorie SOA. Per cui “occorre escludere in linea di principio a danno del cedente qualsiasi automatismo decadenziale conseguente alla cessione d’azienda, intendendosi con ciò affermare che occorre aver riguardo alla causa in concreto del negozio di cessione e al sottostante regolamento di interessi voluto dalle parti, in tutta la sua ampiezza, complessità e particolarità, per determinare se la cessione dei beni aziendali comporti, o meno, la perdita dei requisiti di cui alle attestazioni SOA in capo alla cedente”. (Consiglio di Stato, Sez. III n. 30/2017)
Nel rimettere la questione alla Adunanza Plenaria, il Collegio afferma di condividere l’orientamento secondo il quale non ogni trasferimento di ramo aziendale comporta l’automatica decadenza dalla qualificazione, potendosi sostenere ciò solo nell’ipotesi in cui il cedente abbia concretamente perso la consistenza aziendale che gli aveva consentito di ottenere le attestazioni SOA.
I quesiti sui quali l’Adunanza Plenaria è chiamata a pronunciarsi sono dunque i seguenti:
“Se ai sensi dell’art. 76, comma 11, del d.P.R. n. 207/2010 debba affermarsi il principio per il quale, in mancanza dell’attivazione del procedimento ivi contemplato (in sostanza, nuova richiesta di attestazione SOA), la cessione del ramo d’azienda comporti sempre, in virtù dell’effetto traslativo, il venir meno della qualificazione, o piuttosto, se debba prevalere la tesi che alla luce di una valutazione in concreto limita le fattispecie di cessione, contemplate dalla disposizione, solo a quelle che in quanto suscettibili di da dar vita ad un nuovo soggetto e di sostanziarne la sua qualificazione, presuppongono che il cessionario se ne sia definitivamente spogliato, ed invece esclude le diverse fattispecie di cessione di parti del compendio aziendale, le quali, ancorché qualificate dalle parti come trasferimento di “rami aziendali”, si riferiscano, in concreto, a porzioni prive di autonomia funzionale e risultano pertanto inidonee a consentire al soggetto cedente di ottenere la qualificazione”;
“Se, ai fini della conservazione della qualificazione SOA, possa assumere rilevanza l’attestazione successiva con cui l’organismo SOA accerti che, anche in seguito alla cessione di una parte del compendio aziendale, l’impresa cedente mantiene tutti i prescritti requisiti”.