Con la sentenza n. 336 del 10 febbraio 2017, il Tribunale Amministrativo per la Lombardia è tornato a chiarire e delimitare l’applicazione del principio di equivalenza con riferimento agli appalti di forniture. Nel caso di specie la Stazione Appaltante (Azienda Regionale Centrale Acquisti – Arca S.p.A.) indiceva una procedura di gara avente ad oggetto la fornitura di guanti ad uso sanitario, divisa in diversi lotti, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Con riferimento ad uno dei lotti in gara il bando chiariva che oggetto specifico dello stesso consisteva nella fornitura di “guanti chirurgici sterili multistrato (lattice/sintetico) senza polvere”. Una delle concorrenti escluse dalla procedura di gara ricorreva dinnanzi il competente Tribunale Amministrativo censurando la illegittimità della propria esclusione nonché l’ammissione delle altre concorrenti dal momento che gli operatori ammessi avrebbero offerto – ad avviso della ricorrente, in palese violazione della legge di gara – non un guanto multistrato, bensì formato da uno strato solo.
Con riferimento a quest’ultimo profilo, il T.A.R. osserva che non fosse stato smentito dalla Stazione Appaltante il fatto che le altre concorrenti ammesse avessero offerto dei guanti “formati da uno strato di lattice, poi ricoperto di materiale sintetico”, attraverso un’operazione definita di “spalmatura” e dunque non conformi a quanto richiesto dalla legge di gara, che stabiliva quale requisito tecnico – da osservarsi a pena di esclusione – che il guanto dovesse essere “almeno doppio strato: strato più interno sintetico, strato più esterno lattice”.
Il Collegio osserva che la S.A. aveva considerato valida l’offerta in applicazione del principio di equivalenza di cui all’art. 68 del D.Lgs. 163/2006 (ora art. 68 del D. Lgs. 50/2016), articolo peraltro che veniva altresì espressamente richiamato dalla legge di gara; ritiene tuttavia che tale norma sia stata erroneamente interpretata ed applicata nel casi di specie.
“La finalità dell’art. 68 – afferma il T.A.R. – è quella di evitare indebite restrizioni alla concorrenza ed alla partecipazione ai pubblici appalti, che potrebbero verificarsi in caso di indicazione, da parte delle stazioni appaltanti, di specifiche tecniche di prodotto eccessivamente restrittive oppure costituite da una determinata fabbricazione o provenienza , se non addirittura da uno specifico marchio o brevetto; (…) Tuttavia, nel caso in cui il committente indichi e circoscriva l’oggetto dell’appalto con riferimento ad un prodotto naturalmente esistente in natura oppure a caratteristiche funzionali (quale è nel caso di specie il “doppio strato”), non coincidente con una produzione industriale specifica e determinata, il richiamo al principio di equivalenza non può consentire di distorcere completamente l’oggetto dell’appalto, al punto da permettere ai partecipanti di offrire un bene radicalmente differente (insomma, un vero e proprio “aliud pro alio”), finendo così per rendere sostanzialmente indeterminato l’oggetto dell’appalto medesimo”.
Il Tribunale rimarca quindi i limiti di applicazione del principio di equivalenza, evidenziando che se il bando di gara richiede un prodotto con determinati requisiti essenziali che nulla osta ad un’impresa di settore di inserire nelle sue produzioni, il principio di equivalenza non può essere utilizzato per modificare surrettiziamente la legge di gara consentendo ai concorrenti di offrire beni con caratteristiche materiali o funzionali alternative e probabilmente più economici, danneggiando in tal modo i concorrenti che abbiano puntualmente osservato la disciplina della gara.